Zaira, la nonna dei ragazzini tossicodipendenti

È la responsabile di Villa Lorenzi, comunità semiresidenziale che accoglie minori dipendenti da sostanze. Una vita dedicata all’amore per i più deboli, con qualche contrasto in famiglia: «I miei genitori non volevano, ho dormito in auto una settimana»

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Tutto ha inizio nel 1975, quando Zaira voleva farsi suora e partire per l’Africa. “Andai in una comunità collegata con missionari in Africa, ci sono stata 15 giorni, poi andai a parlare col Cardinale e lui mi chiese della mia situazione familiare. Gli raccontai che avevo lo zio sacerdote e il padre malato e lui mi disse di assistere prima chi mi era vicino come familiare piuttosto che partire per terre sconosciute”.
Zaira resta allora a Firenze, ancora giovane, si prende cura del padre malato. Andando a lavoro in Piazza Pitti cammina per Ponte Vecchio e vede ogni giorno ragazzi dormire avvolti nel sacco a pelo. Era il 1975. “Ogni volta che passavo mi chiedevano cento lire, erano giovani, ma strafatti di droghe con la testa fuori controllo e tanta sofferenza nell’anima. In centro se ne vedevano ovunque”.

Dentro il cuore di Zaira scatta il desiderio di una nuova missione. Sente che non può starsene con le mani in mano, mentre tutto attorno c’è un mondo che soffre, anche sulla soglia di casa sua. “Mi sentivo amata da Dio, ero profondamente credente e volevo fare qualcosa per aiutare quei ragazzi di strada, avevo bisogno che anche gli altri, i sofferenti, scoprissero la sorgente del mio stesso amore, ne avevano il diritto”.
Zaira non pensa ad altro. Non ha tempo per l’amore, soltanto un ragazzo in tutta la sua vita ma niente di serio. Entra in una comunità per aiutare i ragazzi tossicodipendenti. “I miei genitori erano contrari a questa scelta che giudicavano forte, più volte hanno cercato di farmi desistere. Lasciai casa e trascorsi una settimana a dormire in macchina. A volte, pur di rincorrere quei sogni che sono importanti, bisogna andare contro la razionalità di chi ci vuole proteggere”. Così l’arrivo nelle stanze di via dei Pucci, dove venivano accolti  tossicodipendenti, famiglie allo sbando. Zaira lì, parlava con loro, dialogava con loro, ascoltava le loro lamentele.

In quel periodo a Firenze arriva il Cardinale Giovanni Benelli, che conduce Zaira a Roma per un corso per imparare ad aiutare questi giovani, tossicodipendenti e figli di famiglie disagiate. Sei mesi a Roma e 40 giorni a New York nelle comunità americane, perfino dentro le carceri. “Un’esperienza che ti segna”. Fu il cardinal Benelli a far rinascere lo spirito missionario di Zaira e dopo il ritorno da New York, le trovò una comunità in cui vivere. Fu aperta una comunità in via dei Pucci. “C’è voluto del tempo per riappacificarmi con i miei genitori, per loro i drogati erano semplicemente delinquenti, per me invece erano persone addolorate, ho sofferto molto il rapporto con mia mamma e mi ricorderò sempre che mio babbo, in punto di morte, espresse all’infermiera elogi su di me, fu il suo perdono e la sua benedizione per quello che stavo facendo, finalmente aveva capito”.

Poi la grande svolta, quando il cardinale Piovanelli consegna a Zaira la bellissima Villa Lorenzi, sulle colline di Careggi, un casa della Curia che versava in stato di abbandono, nel tempo ristrutturata. Con l’aiuto e l’inventiva del Dottor Vittorio Lampronti è nata l’accoglienza per i ragazzi tossicodipendenti e i figli di famiglie in difficoltà. Zaira ha 50 anni e raggiunge un sogno. Ventidue educatori, operatori sociali, cuochi e segretarie. Direttore è Stefano Superbi. E da quel giorno, ogni giorno è come se fosse il primo.

Zaira, oggi 82 anni, ascolta ogni ragazzo che arriva con problemi esistenziali. “Oggi nei ragazzi c’è troppa solitudine, si mettono seduti su questa sedia e io non faccio altro che ascoltarli, una dote sempre più rara per i nostri tempi dove i valori sono l’individualismo e l’arrivismo. I ragazzi hanno bisogno di non sentirsi giudicati, c’è spesso mancanza di dialogo in famiglia, si sentono sempre ai margini e finiscono per avere poca autostima di se stessi proprio perché non gli è stata trasmessa. Per riempire questo vuoto ricorrono prima al fumo, e poi passano a sostanze più pesanti che li fanno sentire bene, li fanno in qualche modo sentire amati come non lo sono mai stati.

Una comunità semiresidenziale, quella di Villa Lorenzi, dove i ragazzi – ne sono passati 1.300 in questi anni – fanno terapia di gruppo. E spesso rinascono. “Mi resterà sempre in mente quella povera ragazza che arrivò da noi in condizioni drammatiche, sembrava irrecuperabile, invece oggi si è sposata ed aspetta due gemelli”.

Non ha figli Zaira. Vive dentro Villa Lorenzi e i suoi figli sono gli ospiti della comunità: “Ogni giorno mi danno la forza di vivere”. Nel suo studio c’è appesa la lettera che le ha inviato personalmente Papa Francesco il 24 marzo 2019: “Cara signora, grazie tanto per farmi conoscere tramite l’abate Gianni il progetto Villa Lorenzi e per avermi inviato l’esemplare dei fioretti di San Francesco, grazie per lavorare per i giovani, grazie per il lavoro umano, sociale e direi mistico che voi fate, è un lavoro degno proprio di Firenze. Per favore le chiedo di salutare da parte mia i ragazzi, prego per loro perché abbiano sempre coraggio, gioia e pace, e per favore non dimenticate di pregare per me. Fraternamente. Francesco”.

 

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