“Lo skate mi ha salvato la vita”, dice Yuri, mentre si asciuga il sudore dell’allenamento con la sua maglietta bianca, scritta Dokama – crew di skateboard fiorentina – imprimendovi la forma sventrata della ferita aperta che ha sul gomito. “La verità è che ne ho passate di tutti i colori. Ho conosciuto la solitudine in tenera età. I miei genitori non sono stati dei grandi esempi, per questo ho deciso di non ascoltare nessuno dei due. Sono un cane sguinzagliato”, racconta avvicinandosi al pastore maremmano di una passante, per poi affondare la mano nel suo pelo bianco e sorridere, riconoscendo negli occhi dell’animale la sua stessa natura istintiva.
Yuri dice di aver scelto la vita di strada, che è molto diversa dal concetto di “scuola”, quando ha iniziato a uscire di casa con la tavola sottobraccio, appena bambino per sfuggire a una realtà troppo forte. Dice che i suoi genitori ci hanno provato davvero, ma non riuscendo a curare se stessi, era difficile che potessero prendersi cura di lui. Era spesso da solo; lo stile di vita sregolato dei genitori, tra ricadute e difficoltà emotive, non permetteva loro di dedicargli molto tempo. Ma Yuri li perdona.
“La vita di strada a Firenze esiste. Intendo quel sistema di conoscenze, amici, e personaggi che sorregge la città, creando una sorta di struttura basata sul rispetto e l’uguaglianza”. Nella vita di strada, racconta, spesso ci si deve adattare perché non c’è scelta. “La mancanza di scelta non necessariamente preclude la libertà”, dice, parlando di vita e non di politica. “Ho imparato a lasciare sempre che ognuno sia. Io ringrazio lo skateboard per avermi permesso di essere davvero, liberamente”.
La prima cosa che insegna quando dà lezioni di skateboard a bambini o adulti, è proprio come sfruttare l’assoluta libertà di un oggetto come una tavola. “Lo skate è libero, con la tavola puoi fare quello che vuoi. Arriverà poi il momento in cui riuscirai a dare un senso a quello che stai facendo. È libertà ed espressione, e questo vuol dire crescita”. Maestro di skateboard e pizzaiolo, dice che impara molto di più osservando piuttosto che facendo domande. Perciò solitamente skeita coi suoi allievi, perché crede nel “fare insieme”.
Saluta i genitori dei bambini che sono allo skatepark, i cui nomi pronuncia come fossero amicizie di lunga data. Racconta loro dei loro figli, ricordando di avere avuto un maestro anche lui quando era piccolo. Yuri ha trentun’anni, e le lezioni di skate arrotondano solamente, in quanto passione, vera e propria spinta vitale. Quando non sfreccia con la tavola per i vicoli di Firenze, profumati di cucina e colorati di arte, schivando le coppie e gli anziani, Yuri fa il pizzaiolo. Ha cominciato quando aveva diciannove anni, e da allora le sue priorità sono sempre state il lavoro, la famiglia – intesa come comunità -, gli affetti e la musica, oltre alla tavola di legno che, ricorda, aver ricevuto la prima volta in regalo da suo padre il giorno del suo sesto compleanno.
Matteo è stato il suo maestro. Gli ha insegnato i valori dello skate, a “non apparire”, a non seguire le mode: “Lo skate non è un paio di scarpe o di ruote spitfire. Si fa con nulla e nasce dal nulla, come ogni cosa. Si può skeitare anche con un pezzo di legno qualsiasi”. Yuri racconta che lo skateboard è un po’ cambiato negli ultimi anni. “Prima era visto come un atto vandalico, era una disciplina di strada”, dice, “ora è uno sport vero e proprio”.
Lo skatepark di Campo di Marte è un punto di ritrovo per moltissimi giovani. “Crea collettività”, dice Yuri, “ma non fa parte della storia dello skateboard”. Ricorda di come prima l’obiettivo fosse conoscere più posti possibili, trovare scale e muretti nuovi, scorci e pedane deserti. Yuri ha sempre skeitato con l’amico Niccolò, quello che gli ha riacceso la passione vitale dopo che aveva lasciato la tavola per due anni. “Lo skate è anche coraggio. Si cade, sempre, dal primo contatto con la tavola ai trick più avanzati. Bisogna sapersi rialzare e riprovare”, dice infilandosi la maglietta macchiata di sangue e sudore.
Yuri è quello che tutti salutano per la strada, ma che preferisce salutare i cani piuttosto che i padroni. “Non mi sono mai dato pace. Ho cercato per anni qualcosa che pensavo di non avere. Sono stato all’estero a lavorare, a Malta, in Olanda, Spagna, Colombia, Inghilterra… però alla fine sono tornato qui. Mi sono reso conto che qui ho tutto”. La vita di strada che ha scelto Yuri non trova radici nelle difficoltà che presenta quotidianamente, ma nel rispetto di sé e dell’altro, nell’idea di uguaglianza. “Potresti essere chiunque ma io porterò rispetto a te e al tuo vissuto, e ti darò una mano come posso, come so che faresti anche tu”, dice, mentre si sente strattonare timidamente la maglietta da un ragazzino che gli chiede se lui sia Yuri della Dokama crew. “Sì”, e porge il pugno annerito dai lividi a quella piccola versione di sé, in segno di rispetto. Con l’altra mano cerca nella tasca dei jeans, trova un paio di adesivi e glieli regala, concludendo realmente l’allenamento con la fiamma negli occhi di un bambino ammirato.