«Torneremo insieme a Parigi» le sussurra e l’accarezza.
Lei probabilmente non comprende le parole, ma la carezza la sente, perché le carezze non sono fatte per non essere ascoltate. Lui non si commuove, perché ci crede davvero che lei lo ascolti e ripensi a quel viaggio, forse il primo fatto insieme. Di solito, quando ci si innamora, si va a Parigi oppure a Venezia. Soprattutto ci si andava cinquant’anni fa, se ci si amava e se, come loro, si avevano possibilità economiche. Senza Ryanair e TripAdvisor, con le valigie e senza trolley, quasi sicuramente in treno.
«Abbiamo viaggiato tanto» dice il vecchio professore. Un luminare nella sua materia, che indaga il nostro inconscio. «Abbiamo riso e ci siamo divertiti come pazzi» e ti stupisci perché, di solito, non si racconta al mondo che ci siamo divertiti per quella falsa ritrosia che non ti fa dire agli altri che sei felice: lui lo dice, lo dice a lei tenendole la mano, lo dice a me che me lo immagino giovane e non incerto nella sua camminata per il quartiere latino. Per il ghetto meraviglioso di Venezia, per la piazza bianca di Ortigia, davanti all’oceano in una Lisbona tutta da scoprire.
Tutti i giorni. Tutti i giorni il vecchio professore viene a trovare la moglie Isabella nella casa di riposo.
E potrebbe non venire più, perché lei sono almeno due anni che non lo riconosce. Lui sì, però. Ed ogni giorno è qua, la riconosce, la ricorda e pensa a Parigi.
Che è sempre un bel pensare.
Io mi commuovo perché – e lo so che è banale – non c’è niente di più grande dell’amore.
Lui no, non si commuove, ma l’ho già detto. Perché con lei ha visto la Ville Lumiere, e sa che la rivedrà.
Per la mano, giovani tutti e due ed innamorati ancora.
A Parigi. Perché forse soltanto lì ci si innamora davvero.
(ndr – La signora Isabella, dopo anni di malattia, si è spenta poco tempo fa, suo marito non ha mai smesso di pensare al loro primo viaggio a Parigi)