Petra ha 30 anni, l’accento lombardo a volte “sporcato” di toscano, da Carate Brianza è finita qualche anno fa a Firenze. Non per lavoro, non per studio, non per amore. «Perché la mia vita stava annegando e dovevo andare da qualche altra parte» dice con schiettezza. Quando si cambia città senza appigli concreti si cerca un lavoro per mantenersi: c’è chi fa la cameriera, chi magari la cassiera in un supermarket e poi c’è chi porta il suo curriculum… a un sexy shop. «Ci avevo già provato in altri sexy shop – racconta – ‘No, una commessa donna no perché sennò poi i clienti pensano che sei lì per un altro motivo…’, mi rispondevano così».
Eppure aver a che fare con completi sexy o in latex, sex toys o lubrificanti è un lavoro come un altro: la semplicità con cui spiega il suo mestiere è la cartina di tornasole della sicurezza di ciò che fa. Non solo, è un obiettivo di vita: «Io ho un progetto a lungo termine su questo. Ho spesso trovato ignoranza, frustrazione, imbarazzo nelle persone non solo sulla pratica sessuale, ma anche semplicemente sul parlarne. Credo di essere stata molto sfortunata, ma indirettamente ho compreso che non sono un caso su milioni… ma è una situazione abbastanza diffusa. Il mio obiettivo è quello di creare un punto di acquisto e scambio, per tutti. Scambio di informazioni, scambio di confessioni, confronto libero, punto di contatto con professionisti. Qualsiasi cosa che possa servire ad una società migliore».
Commessa in un “love shop”, non un negozio che risponde al classico stereotipo – periferia, vetrine oscurate, gente che ci entra alzandosi il bavero della giacca guardandosi sospettosamente intorno per non farsi notare – anzi: salotto buono di Firenze, in pieno centro, a due passi da Piazza della Signoria. «Ho fatto altri lavori qui a Firenze. Un giorno entrai al sexy shop con un’amica quasi per caso, lì con la ragazza che mi serviva ho iniziato una conversazione… diciamo ‘tecnica’ su un oggetto che stavo guardando. Lei lo notò e lo disse alla titolare del negozio. E’ finita che lavoro lì da un anno e mezzo circa». Classica domanda da comune-senso-del-pudore: la tua famiglia lo sa? Cosa ne pensa? «I miei sono contenti, più che altro sono contenti che io sia felice di ciò che faccio». E il tuo compagno? «Lui è il più contento di tutti!».
Lavorare a contatto col pubblico è già una specie di osservatorio sul mondo, si cerca di capire che cliente si ha davanti. «Ho lavorato per un periodo ad un centro scommesse: io di calcio non so nulla, ma dopo un po’ di tempo avevo imparato a capire che categoria di scommettitore mi si presentava al banco, su cosa avrebbe puntato, se ne sapeva di sport o se aveva solo avuto una dritta e in realtà non ci capiva niente». Una relazione commessa-cliente che giocoforza viene amplificata in un sexy shop. «Devo necessariamente fare domande quando un cliente mi chiede un prodotto, devo tentare di capire cosa vuole quella persona: entro nella sua sfera più intima. Trovo per esempio assurdo quando mi chiedono un vibratore e alla mia domanda ‘di che tipo?’ mi rispondono ‘uno qualsiasi’. E allora perché ne fanno di dieci modelli diversi…? Spesso ho davanti delle persone che devono essere educate».
«In un sexy shop – continua Petra – entra davvero qualsiasi tipologia di persona. Da veri e propri casi umani (uno attaccò bottone e alla fine si era impuntato sul fatto che secondo lui ero repressa sessualmente) alla tipologia 45enne-con-la-sindrome-di-Peter-Pan, quelli che entrano solo per sghignazzare e cazzeggiare e che magari pensano di mettermi in imbarazzo: per me non è un problema spiegare come si usa uno stimolatore prostatico, spesso dopo la spiegazione sono loro in imbarazzo».
Ma ci sono anche clienti con cui è soddisfacente avere a che fare: «Quelli che recepiscono meglio secondo me sono i più giovani: vengono quasi sempre in coppia e sulle prime sono intimiditi, ma poi quando inizio a dargli spiegazioni e chiedere informazioni sono i più consapevoli. Sapere che contribuisco al benessere, al piacere delle persone mi fa andare a lavoro super carica, felice di fare ciò che faccio. È anche una crescita personale che mi porterà a realizzare il mio progetto». Turisti? «Sì certo, sono forse le persone più a loro agio. Gli americani, per esempio le studentesse, puntano sulla qualità: se devono scegliere tra due prodotti e dico loro che quello che costa più è migliore non si fanno problemi e comprano quello – gli italiani non lo fanno… Cercano soprattutto il ‘bullet’ (proiettile, nda), il vibratore in formato tascabile da borsetta».
E Firenze negli occhi di una 30enne lombarda com’è? «Una città che ha ancora una sua vicinanza alle persone. Per esempio qui ci sono tanti negozi». Ma come? Sono anni qui che diciamo che i negozi chiudono… «Ma no, su a casa mia un ferramenta non c’è, devi andare nei centri commerciali allo store della grande catena – e mica sono grandi i vostri centri commerciali, non avete mai visto quelli delle mie zone…Oppure i calzolai, a Carate non ne trovi più uno, qui invece ci sono ancora». «Certo voi toscani siete dei ‘parigini’: per voi oltre la Toscana non c’è altro al mondo, l’ho bell’e compreso» se ne esce a un certo punto con il toscanismo, dopo qualche “c” aspirata qua e là durante la chiacchierata. «E poi vi pesa il culo, spostarvi di 15 km per andare da qualche parte per voi è un’odissea!».