Stefania, l’ultima argentiera di Borgo San Jacopo.
«Mio nonno qui dal 1930, i clienti lo pagavano con la cacciagione»

Da Nonno Orlando fino ad oggi, prosegue immutata la tradizione artigiana della famiglia. “Ai ragazzi consigliamo di respirare la polvere delle botteghe”. E poi: “Abbiamo sempre scansato i flussi del turismo di massa e, forse per questo, siamo rimasti in piedi”

Condividi questa storia su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp

Nonno Orlando aveva iniziato nel 1930, a ventiquattro anni. Le botteghe argentiere di Borgo San Jacopo erano una palestra ambita e lui si era fatto un bagaglio di competenze invidiabile. Così, nel 1947, aveva deciso di fondare un laboratorio suo, al pianterreno di un convento dove visse anche Santa Caterina da Siena. Quando – sono ormai gli anni Sessanta – il figlio Paolo decide di dargli una mano, l’attività si ingrandisce e si trasferisce in piazza de’ Rossi, a pochi metri da Ponte Vecchio, a due passi dalla chiesa di Santa Felicita. Scelta fortunata, perché la collocazione leggermente sopraelevata consente all’Argentiere Pagliai – è di lui che stiamo parlando – di limitare parzialmente i danni dell’alluvione del ’66. Oggi, con la nipote Stefania, l’attività è giunta alla terza generazione.
“Una volta – ricorda proprio Stefania – in Borgo san Jacopo c’erano tanti orefici e gioiellieri. Oggi siamo rimasti solo noi. Tutto è cominciato grazia al nonno: era un tipo carismatico all’inverosimile, con un’anima imprenditoriale che erompeva da ogni poro. Amava creare e poi fotografare i suoi lavori, servendosi all’ottica Bazzechi di via Guicciardini. Era una forma di marketing rudimentale, ma molto funzionale per l’epoca. Così riuscì a mettere su una grossa clientela, sia fiorentina che internazionale. Babbo, che aveva fatto tutta la gavetta nelle botteghe artigiane della zona, gli ha dato una bella mano. Insieme a mamma, il vero collante del negozio”.

Nel 1985 arriva il momento di trasferirsi di nuovo, stavolta per mettere radici. Adesso Argentiere Pagliai si trova in Borgo San Jacopo da trentasette anni. Una fucina di oggetti preziosi ma anche, inevitabilmente, di storie e aneddoti. “Nonno – prosegue Stefania – sapeva davvero come fare public relations. Andava a caccia con certi amici nobili che poi gli commissionavano lavori per le loro residenze. Solo che c’era un problema: a volte quelli lo pagavano con la cacciagione. Nonna si arrabbiava da matti e lo rimproverava: se andiamo avanti così finiamo a pane e radicchio. Fatti pagare in lire!”. Un’altra volta, invece, un tizio dall’aria distinta commissiona un pregiatissimo candelabro: “Solo che poi non aveva i soldi per pagarlo e, alla fine, si presentò in negozio con un gigantesco salmone per provare a riscattarlo”.

La storia di Pagliai è diventata sempre più fulgida con l’avvicendarsi delle stagioni, probabilmente per merito di quel sapere tradizionale che oggi fatica a permeare le nuove generazioni: “Studiano tanto e hanno talento, ma ai ragazzi consiglio di respirare la polvere delle botteghe. A livello formativo è tutta un’altra cosa”. Orlando, insomma, non conosceva le mezze misure. Un giorno si presenta una signora che commissiona la riproduzione di un pezzo mancante, una forchetta d’argento. Lavoro certosino: c’era da rifarla uguale, limarla e rifinirla. “Ma quando la cliente arrivò – sorride Stefania – contestò il prezzo del lavoro. Nonno, allora, non fece una piega: prese la forchetta e la spezzò in due. La signora capì l’errore e, per scusarsi, gli fece arrivare un set di cravatte a pois. A nonno non piacevano neanche un po’. Poi ad un certo punto ne prese una tra le mani ed esclamò: ecco, questa! Questa mettetemela al mio funerale. E così abbiamo fatto”.

Cinepresa che scorre ancora indietro, tra le pieghe del tempo. Pagliai, si diceva, attira gli appetiti di certe compagnie internazionali. Come Tiffany, ad esempio. “Nel dopoguerra volevano rilanciare la città dando lavoro agli artigiani e ci riuscirono, grazie al tramite di Giovanni Battista Giorgini. Noi fummo selezionati tra i laboratori che dovevano produrre per loro: Tiffany ci commissionò soprattutto forme animali, alcune di dimensioni imponenti. Fu una vera svolta”.
Profano, ma anche sacro: dieci anni fa un padre di Santa Trinita entra in negozio per far restaurare un ostensorio. Aprendolo, esce fuori un rotolino di carta con su scritto “Orlando Pagliai fecit”.
Molta storia, ma anche tantissimo presente. Se Argentiere Pagliai prosegue quasi indenne la sua missione, è anche grazie alla bontà di un prodotto che si rivolge ad una clientela estremamente qualificata. “I nostri storici acquirenti sono rimasti tali, anche durante il Covid. Abbiamo sempre scansato i flussi del turismo di massa e, forse per questo, siamo rimasti in piedi. Oggi si affacciano in negozio anche le nuove generazioni: spesso chiedono prodotti personalizzati o fatti su misura. Il fatto a mano di qualità – conclude Stefania – continua ad alimentarci a distanza di quasi un secolo”.

 

Condividi questa storia su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp

Rimani Aggiornato