È domenica mattina, le fronde degli alberi disegnano sulla facciata della chiesa del Brunelleschi ombre vivaci che si muovono, accompagnate dal sole. La piazza di Santo Spirito si popola presto di commercianti e artigiani, agricoltori ed esperti di antiquariato. Alle 7 i banchetti del mercato sono già allestiti, ma i primi avventori tardano un po’ a uscire, la domenica tutto rallenta. La piazza diventa luogo di colori e profumi artigianali, di sapori contadini, testimone di uno scambio culturale, di arte, tradizione e di conoscenza.
Nel quartiere di Sato Spirito, che ospita questa piazza meravigliosa, dove si svolge il mercato, si conoscono un po’ tutti. “Nulla è davvero cambiato: qui un tempo si incontravano gli abitanti e i bottegai, ora i bottegai sono sempre meno, ma è importante parlare anche di chi resiste”, racconta Maristella, lo sguardo velato dalla retina nera di uno dei suoi preziosissimi cappelli anni ‘50.
Maristella è nata in casa nell’anno della liberazione, nelle campagne del Mugello, per la gioia dei suoi genitori Federigo, contadino, e Giovanna, che oltre a Maristella partorirà altri quattro figli, nella povertà. “Ci si accontentava di poco, ma si stava bene”, racconta Maristella, ricordando le passeggiate notturne sotto un cielo pulito, le spedizioni dal lattaio la mattina presto, le acconciature che sperimentava con le sue due sorelle. Da venticinque anni, la domenica mattina Maristella siede dietro alla sua collezione di cappelli, indossandone uno di tanto in tanto perché ci è molto affezionata. “Ogni oggetto che vendo ha una storia”, dice, “si tratta di pezzi acquistati diversi anni fa, sono parte della mia gioventù. I gioielli, i cappelli, i vestiti, così come le ceramiche e le macchine fotografiche antiche, gli orologi: hanno tutti un valore simbolico e affettivo, molti sono prodotti della fatica di artigiani che ormai non lavorano più”.
La sua passione per il mercato, perché di passione si tratta, “non è una questione economica, certo aiuta ad arrotondare ma non è tutto, non può essere tutto perché è talmente poco”, si confida. È iniziata quasi per gioco: i suoi due figli, al tempo universitari, per pagarsi le vacanze estive decisero di cominciare a vendere un po’ dei miei pezzi acquistati o conservati negli anni. “Forse all’inizio se ne volevano solo disfare”, dice Maristella sorridendo, “non hanno visto questa iniziativa come uno scambio di esperienze”. Per lei, vendere a una giovane donna la borsa a bauletto vintage che una volta aveva portato lei, significa consegnarle anche il suo amore per quell’oggetto, i ricordi che esso conserva e la fatica nel rifinire a mano le imperfezioni dovute al passare del tempo. Maristella cuce quasi ogni giorno, accarezza le sue camicie da notte di seta, lavorando di fino con un ago per ripararle alle usure. “Vorrei che anche coloro che comprano i miei capi potessero sentirli come propri e riempirli con le loro esperienze. Non sono semplicemente abiti vintage o oggetti di antiquariato, è il lavoro manuale di qualcuno, sono pezzi di vita. Mi piacciono i miei cappelli”.