Certe volte la vita ti cambia. Certe altre, la cambi. Questo almeno è quello che è successo a Lando Lunardi. Nato a Carmignano nel 1966, e oggi calzolaio a Firenze, in via Pisana 33 per la precisione. “Per carattere direi che sono fatto per fare il calzolaio, io sono una persona indipendente. Ma a dir la verità, una scarpa in mano non l’avevo mai presa”. Gli inizi di carriera sono stati per Lando semplici e lineari: poca voglia di studiare, tanta voglia di fare. E così, a 19 anni comincia la gavetta. Fa l’autotrasportatore per una ditta di surgelati a conduzione familiare. Con il tempo – ma anche la serietà e lo spirito di sacrificio – diventa rappresentante degli stessi prodotti.
Nel mezzo, però, ci sono gli anni che passano, la società che cambia e gli affari che snaturano l’essenza più intima dell’impresa. “L’avvento dei centri commerciali e della grande distribuzione ha sconvolto il settore”. E forse un po’ anche Lando che ha assistito alla scomparsa dei piccoli commercianti, nonché suoi amici e clienti. “Il mio mestiere era sempre più impersonale e più stressante. Ero diventato un numero”. Una presa di coscienza che lo ha convinto a dire “basta”. “Avevo già cinquant’anni e il mondo andava a una velocità che non tenevo più. Molti mi dicono che sono stato coraggioso”. Ma Lando è perentorio su quest’ultimo punto: “Le cose non si fanno per coraggio. Si fanno e basta. Poi semmai si cambia. E se non vanno, si cambia ancora”. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi.
Date le dimissioni, si è aperto il periodo della ricerca di un nuovo lavoro. Questo include spargere la voce, inviare il curriculum e frequentare i centri per l’impiego. Poi arriva l’opportunità in un grande magazzino a Scandicci, nel reparto ortofrutticolo. Quel mondo in evoluzione lo aveva già conosciuto e così, dalla nuova posizione ne ha tratto solamente l’ennesima conferma. Dopo dieci mesi, Lando ha lasciato di nuovo tutto. “C’era gente in gamba trattata come merce. Io non tollero le ingiustizie”.
Al piccolo calzolaio di via Pisana, un’attività che già esisteva, anche Lando c’è arrivato per caso. Il vecchio proprietario se ne sarebbe andato a Tenerife e prima avrebbe fatto formazione a qualcuno interessato a continuare il mestiere. Hanno passato tre mesi insieme. “In pochi metri quadri, dove di solito si sta soli, stavamo in due. Io in silenzio. Avevo tutto da imparare, e a tagliarsi un dito nei macchinari ci vuole poco”. Ora Lando, sotto l’insegna che porta il suo nome, si commuove a ripensare a quel periodo. “Ci vuole sacrificio. Ma anche ingegno e fantasia. Quando mi portano una scarpa non c’è routine, deve arrivarmi il guizzo”. Così descrive quel misto di sensibilità ed esperienza che contraddistingue gli artigiani. I clienti non mancano e il passaparola funziona. Lando è arrivato fino alle orecchie di Batistuta. “Quando è entrato ho detto ‘Bati, ma che ci fai qui’, ero incredulo”. Dopo gli anni passati in curva Fiesole a sognare, Lando non poteva pensare di tenere tra le mani un paio di scarpe del suo mito. Niente tacchetti però, Batigol gli ha affidato i suoi stivali da polo. “Dovevo allargare la cerniera che va dal collo del piede fino al ginocchio, perchè potesse calzarli con il tutore per la caviglia”. Di quel giorno memorabile, è rimasta l’emozione e una foto in bella vista che li ritrae abbracciati.
Ormai, della vita da rappresentante ricorda le giornate che finivano prima, mentre oggi, “se sto aperto le persone continuano a entrare”. Ma è anche una soddisfazione. Una grande soddisfazione. “Il mio cruccio è uno: se avessi iniziato a vent’anni questo lavoro, sarei diventato un produttore di scarpe”. Chi può dirlo Lando. Chissà!…