Capelli rossi, occhi azzurri, 52 anni. Sguardo sbarazzino, le unghie lunghe marroni. Curatissime. Il piercing al naso. Il profumo sui vestiti, intenso. Si sveglia alle 4 tutte le mattine. Firenze dorme, lei esce nel buio e comincia a fischiettare. E mentre fischietta spazza, ramazza, spolvera, pulisce. Segue il risveglio lento di San Lorenzo, i primi barrocciai coi carretti, gli edicolanti con le cispe, i lampredottai con gli stufati, i fruttivendoli con le fragole.
L’alba è un miraggio. Le tenebre cullano i sogni.
Elena la spazzina. Il profumo sui vestiti. Si comincia poco dopo le 5. Via Guelfa, via Taddea, via della Stufa, Borgo La Noce. Quando passa lei, si sente la scia. Aroma dolce: «Ci tengo alla cura di me stessa».
Non c’è quasi nessuno per le strade immacolate. La coltre del sonno, sogni e silenzi, volti affondati nei cuscini, lampioni fiochi sul mare pacifico della notte. È una città che non vediamo mai, sconosciuta, autentica. Ignorata dalle guide, non vissuta dai fiorentini. Bellissima. E vuota. Bellissima perché vuota, unica, senza intralci di turisti, senza clacson che rumoreggiano.
Eccola Elena, leggiadra. Lei passa e gli altri sussurrano saluti. Qualcuno bercia, anche alle 5 di mattina, perché a Firenze si fa così. Si bercia. Si bercia a chi si vuole bene. A lei, tutti vogliono bene, anche soltanto per la sua vita di sacrifici: la sveglia nella notte, il lavoro di umiltà. Le dicono «Buongiorno spazzina», ma è come se le dicessero «Buongiorno principessa». Perché lei questo si sente. La sua granata è come l’ombrello di Mary Poppins, la fa volare sopra le tegole rosse del rione. E mentre cammina, mentre spazza e mentre vola, lei si sente davvero una principessa. E Firenze è il suo castello, da proteggere e far brillare tutti i giorni. Come una favola.
Non ha le scarpe rosse di una fiaba, questo no, ha i pantaloni arancioni della netturbina. Ma che importa, conta l’anima. La predisposizione. E allora sì, lei si sente dentro un romanzo. Il romanzo di Firenze.
Il suo cuore batte all’unisono coi ciottoli delle strade, con le pietre ataviche della basilica, con il rosso ambrato dei tetti. Attimi eterni, dove il suo camioncino di rifiuti non è un camioncino di rifiuti. No. È una mongolfiera del tempo, lei ci sale sopra ogni mattina, dopo aver timbrato il cartellino nella sede Alia di piazza della Libertà. Mette in moto, direzione San Lorenzo, il quartiere che pulisce ogni mattina. E dove sprofonda in dimensioni parallele.
«A quell’ora Firenze è tutta mia, sono padrona dei monumenti, è un’emozione unica». Tutti dormono mentre lei spazza. Toglie di mezzo l’inciviltà degli altri: vetri rotti, cartacce, lattine, scatole, cicche. A volte siringhe. Anche escrementi, escrementi umani, quelli dei senzatetto. A volte impreca, ma non perde la gioia. Quella di vivere. E quando ti parla, ti dà una lezione: «Le cose le fai per bene, altrimenti meglio non farle».
Svuota i cestini, riempie il suo furgoncino. Sfoglia Firenze con lo sguardo, tra il vento e il silenzio. Legge i nomi di quelle strade e immagina il passato glorioso, con le carrozze e coi pittori. Gli artisti di ieri e quelli di oggi. Come il titolare del bar Mama, che alle 6 in punto apre bottega come se fosse Michelangelo. «Buongiorno Elena buongiornoooo». E poi Beatrice, la lampredottaia del chiosco in via dell’Ariento. «Buongiorno buongiorno». Tutti la salutano. Tutti la ringraziano. Quel signore dalla finestra la chiama sempre «Amore mio». E lei risponde sorridendo, come se al posto della scopa avesse l’asta di un microfono e il suo lavoro fosse un concerto. E Firenze come teatro, il teatro mattutino stile Amici Miei. Berci e sberleffi. E poi arrivano le 6.30 ed ecco l’edicolante di via San Gallo, poi il civaiolo di via Taddea, i ragazzi del garage in Sant’Orsola. Le urla affettuose di Firenze, Firenze melodrammatica che resiste, tra bazar e pelletterie taroccate: «Buongiorno spazzinaaaaa». Lei risponde urlando più forte. E pace se qualcuno si sveglia. «Noi fiorentini siamo così».
E davvero le piace questo lavoro. Sembra strano, ma è proprio così. «Ho perso il lavoro nel 2010. Credevo di essere finita, poi mi hanno assunto ad Alia. All’inizio mi spaventava fare la netturbina, poi ho cominciato ad apprezzare. Davvero». Vallo a spiegare ai nostri giovani.
Certo non è il mestiere che si sogna da bambini. Questo no. Non sempre rose e fiori, soprattutto la notte. «Una volta mi sono imbattuta in due ragazzi che si bucavano. Ho chiamato la centrale perché ho avuto paura». Una volta è finita in ospedale. Una lite tra due ragazzi ubriachi, uno di loro ha lanciato un posacenere che l’ha presa in pieno. Un’altra volta un clochard ubriaco l’ha offesa. E non tutti hanno voglia di scherzare, sul far dell’alba. «Vedo persone piene di rabbia, escono di casa già infuriati, sguardi a terra e grugno in faccia». Ma lei saluta tutti, anche loro. «Buongiorno signore, Buongiorno signora». Poi li guarda, sperando in un sorriso. Che spesso non arriva. E lei continua a spazzare, sorridendo, fischiettando.
Dicono che il lavoro nobilita l’uomo. Ma forse è vero anche il contrario: è l’uomo che nobilita il lavoro. L’esempio di Elena. E la bellezza della vita.