Il tennis non è solo tennis. No, per lui, è la metafora della vita. Sì perché il tennis non è uno sport qualsiasi: “Una partita ti propone problemi ad ogni scambio, in ogni istante, e così è la vita, che ti mette continuamente davanti a difficoltà, che ogni volta bisogna cercare di risolvere. E se molli, perdi il punto. Così come nella vita, se molli rischi di perdere i treni giusti, se ti rilassi sul campo vieni trafitto da un rovescio vincente dell’avversario, e così nella vita, rischi di essere trafitto dai problemi. E poi c’è la sconfitta, difficile da digerire nel tennis come nella vita, ma che bisogna imparare ad accettare senza soffrire troppo, così come la vittoria, che va acclamata ma senza esagerare. Vincere significa essere riuscito a risolvere i problemi che l’avversario ti pone e avergli proposto altri problemi che lui non risolve. Quindi dimostri di essere stato, nel campo, più bravo. Non tanto per orgoglio personale, semmai per cercare gratificazioni verso gli altri e verso te stesso, proprio come nella vita”.
E poi nel tennis, dice lui, si vede la personalità che ti contraddistingue: “Sei una persona generosa se in campo offri tutto te stesso, sei una persona egoista se in campo sei presuntuoso con l’avversario, sei una persona duttile perché in campo ti adatti alle varie situazioni di gioco che l’avversario ti mette davanti, sei una persona cattiva se cerchi di rubare qualche punto, se uno è timido non apre bocca e non contesta niente,
se uno è ansioso si vede nei punti importanti, quando magari fa doppio fallo o sbaglia il più semplice dei colpi”. E ancora: “Nel campo sei solo; non ti puoi nascondere: se hai paura si vede, se sei sicuro si vede, se sei stanco si vede. Non hai un compagno a cui passare la palla se hai paura di sbagliare. Nel tennis si vede l’uomo in faccia: come sei dentro è come giochi”.
Jimmy Gori, 65 anni, è uni dei maestri di tennis più noti di Firenze. Tennista per quattro generazioni: il nonno Arturo, il padre Renato (numero 5 d’Italia), lui e adesso la giovane figlia Matilde, impegnata a livello nazionale. Il tennis è la sua vita, senza il tennis non esisterebbe. È stato numero 63 d’Italia e oggi fa il maestro allo Zodiac. Una storia lunga, che inizia nel tempio fiorentino del tennis, al Circolo Tennis Firenze alle Cascine: “Le prime palline le ho tirate contro il muro di quel circolo, dove mio nonno Arturo viveva ed era il capo degli operai della struttura. Fino a 14 anni giocavo soltanto nei mesi estivi; poi, grazie alla bicicletta, sono diventato indipendente e ho cominciato a giocare tutti i giorni. Prima di giocare a livello agonistico, ho fatto tutta la trafila: raccattapalle, giudice di linea, arbitro di sedia.
E da allora, non ha più smesso, tutti i giorni dentro al campo a tirare palline. Potrebbe sembrare noioso e ripetitivo, ma lui dice che no, “ogni tiro è diverso dall’altro, ogni palla giocata ti mette di fronte a una situazione diversa dall’altra”. In 50 anni di attività, il tennis non gli è mai venuto a noia, nemmeno per un istante. Un amore travolgente. “Il segreto è non dare mai niente per scontato”. Un consiglio tennistico, utile anche per la vita. “Non ho mai colpito una pallina senza pensare dove e come tirarla, riuscire nel colpo mi dà piacere”.
Giunto a quest’età forse potrebbe smettere, potrebbe tenersi i corsi di tennis e qualche lezione privata, ma non riesce proprio a farne a meno e continua a fare tornei, con grinta ed entusiasmo.
Il suo tennis è diverso, niente bombe da fondo campo come ci abitua il tennis moderno, ma colpi talentuosi che fanno impazzire l’avversario: palle corte, pallonetti, un gioco che farebbe imbestialire qualunque avversario e che lo contraddistingue come uno dei pochi tennisti toscani a giocare di fino, e non di potenza. “Purtroppo i giocatori che giocano un tennis a tutto campo sono sempre più rari. Il motivo principale per cui la potenza ha preso il sopravvento sulla tecnica dipende sicuramente dallo sviluppo della tecnologia delle racchette che ha favorito i tennisti più forti fisicamente in grado di sfruttare i vantaggi che concedono le nuove racchette”. E ogni volta che scende in campo per una partita, è come se fosse la prima volta. “Si potrebbe pensare che con il passare degli anni e delle partite la tensione, con relative emozioni e paure, possono passare. Per me non è così. La tensione del pre partita fa parte del bello di questo sport”.
Ricorda ancora, quando era direttore di campo nel torneo giovanile internazionale al Ct Firenze, quella doccia con Andrè Agassi: “Lui aveva 17 anni e ci trovammo in doccia insieme, poche parole, si vedeva che aveva talento e che sarebbe diventato un campione”. Jimmy Gori, nato a New York ad agosto del 1955 da madre americana e padre italiano, si è trasferito in Italia quando aveva soltanto 5 anni. Ma l’America gli è rimasta nel sangue. Oggi vive con la sua compagna a Tavarnuzze. Ogni alba e ogni giorno per lui sono una nuova opportunità, una nuova occasione per godere di questa unica vita che abbiamo. E lui, come un bambino ancora curioso di scoprire, non smette di sperimentare nuove esperienze, nuovi viaggi, nuovi giochi, ma sempre senza dimenticare il tennis, l’amore di una vita che scandisce le sue giornate con una gioia e una pacatezza d’animo rari da trovare. E con l’idea che l’importante non è essere felici, ma accontentarsi di quello che ti offre la vita, questa è la vera felicità.