“Era il 2019, l’anno dei Mondiali di calcio femminile in Francia: Azzurre ai quarti di finale, match spettacolari, la Macarena a fine partita e tutta l’Italia che scopriva e si innamorava del calcio rosa. È stato allora che ci è venuta l’idea di creare una app che raccogliesse notizie e aggiornamenti sul pallone al femminile, con classifiche, calendari e curiosità”.
Jacopo Calamai, 35 anni, viene da una famiglia di giornalisti. Insieme al fratello Matteo, due anni fa, ha creato “Tutto Calcio Femminile”, un’applicazione che ha già avuto 15mila download e che ogni mese totalizza un milione di visualizzazioni. “Abbiamo una piccola ma appassionata rete di collaboratori e stiamo avviando l’iter per registrarci come testata giornalistica. Stiamo crescendo, l’idea funziona e i riscontri positivi non mancano mai. Ho capito che eravamo sulla strada giusta il giorno in cui siamo riusciti ad anticipare l’acquisto di una calciatrice da parte della Roma. La notizia non era ancora ufficiale, ma si fece notare” racconta con orgoglio Jacopo che in realtà è approdato al giornalismo solo ora, grazie al calcio femminile e alla start up con il fratello.
“Nella vita faccio tutt’altro. Dal 2014 lavoro per Prada, nella sede di Montevarchi, mi occupo della pianificazione della produzione di Miu Miu, uno dei marchi del Gruppo” racconta. “Mi piace moltissimo quello che faccio, non mi annoio mai e la mattina sono felice di andare in azienda. Durante il weekend, invece, mi metto al computer e scrivo. Potrebbero sembrare due mondi distanti ma per me sono due facce della stessa medaglia, due percorsi che si intersecano, che hanno un’origine in comune e anche una data: il 2010, anno in cui decisi di lasciare la facoltà di Economia e Commercio per iscrivermi alla Scuola di Scienze aziendali e tecnologie industriali. Ero in una fase di stallo. Avevo perso interesse verso il mio percorso universitario, mi ero arenato. Così a 24 anni decisi di darmi una nuova chance. Ero il più grande tra gli studenti, ma non mi importava. Stavo cercando la mia strada. Mi ritrovai in un ambiente completamente diverso da quello accademico. Studiavamo in classi finalmente non affollate di studenti. Il contatto con i professori era costante e diretto. E soprattutto, sembrava già di essere inseriti in un contesto professionale. A lezione, andavo in giacca e cravatta, avevo un badge e orari da rispettare. Mi sentivo finalmente responsabilizzato e invogliato ad apprendere. Perché lì, la teoria era affiancata dalla pratica, dalla concretezza delle testimonianze dirette di imprenditori e manager pronti a spiegarci come affrontare i vari aspetti della vita aziendale. E poi c’era Piero Baldesi, il fondatore della scuola, scomparso qualche anno fa, che per me è stata una figura fondamentale. La prima prova sul campo l’ho fatta con Treedom, una start up molto particolare che combatte l’inquinamento piantando alberi in Africa”.
Dopo questa esperienza, per Jacopo si sono aperte le porte del settore moda. Prima sei mesi di stage da Braccialini, il brand internazionale di pelletteria, dove è rimasto per due anni accumulando quanta più esperienza possibile. Dopo Braccialini, Balenciaga e, ora, Prada. “Oggi, se mi guardo indietro, mi rendo conto che in quel 2010 è iniziata la mia nuova vita professionale e personale. In quel periodo avevo conosciuto Anna, che poi è diventata mia moglie e, due anni fa, mi ha reso papà di uno splendido bambino, Duccio. Sono certo di aver raggiunto questi traguardi personali anche grazie alla stabilità lavorativa. Ma non mi sento arrivato, voglio ancora crescere, fare altre esperienze, mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti. Anche la app sul calcio femminile nasce in questo contesto: capire le dinamiche aziendali mi ha fatto venire voglia di fare qualcosa di mio, di misurarmi con un’attività imprenditoriale. E se oggi so come gestire i collaboratori e come progettare investimenti è grazie alle esperienze che ho fatto sin qui. La scrittura, quella no, quella l’ho ereditata da mio nonno, una persona molto importante per me e un ottimo giornalista, e anche dal mio babbo. Lui, però, ha sempre pensato che non dovessi dedicarmi al giornalismo. Evidentemente, dovrà cambiare idea”.