«Ho rinunciato al posto fisso per fare il calzolaio»

Lui ha 26 anni, ha riaperto una bottega abbandonata a Brozzi: «Mi dà soddisfazione tutta la dimensione che mi sono creato, il fatto di essere padrone di me stesso mi ha cambiato la vita. Volevo fare un lavoro che mi facesse alzare la mattina col sorriso e con la voglia di lavorare»

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Leonardo ha 26 anni e fa il calzolaio, non il ciabattino, “il ciabattino è quello che le ripara e basta le scarpe, il calzolaio è quello che le crea e non c’è soddisfazione più grande che dare nuova vita ad un pezzo di cuoio”. Nato e cresciuto a Brozzi, dopo aver studiato da geometra ed aver iniziato Scienze Motorie, ha sentito il richiamo della tradizione che si porta nel sangue dai tempi del trisnonno, Disma, da lui il nome del suo negozio, e di cui tiene una foto in bella vista all’ingresso. “Il mio primo amore è stata la creazione, vedere un pezzo di pelle o un pezzo di cuoio diventare una scarpa vera e propria è una cosa magica”.

Starebbe ore a parlare della lavorazione del cuoio, di come dargli la forma perfetta, di quanto siano importanti le rifiniture e lo fa con una semplicità unica. “Mi piacerebbe ridare fiducia e coraggio a chi volesse intraprendere la strada dell’artigianato. La bottega ha riportato un po’ di calore alla strada e sono convinto che con la ricerca e l’impegno si possa riuscire a trasmettere alla gente la cultura della qualità”.
Mentre cuce il cinturino di uno stivaletto con un’antica Singer di oltre un secolo fa, racconta la sua passione con entusiasmo contagioso ed un’umiltà disarmante, consapevole di aver fatto una scelta insolita che però lo rende felice. “I miei genitori non erano del tutto convinti del mio progetto, c’era l’idea della sicurezza del posto fisso che però a me non convinceva. Mi sono detto che a 25 anni, senza figli o mutuo, se non ci avessi provato adesso non lo avrei fatto più, quindi ho rifiutato un’offerta da Dolce&Gabbana e mi sono messo a liberare la bottega dei nonni inutilizzata da 10 anni”.

Nonostante l’influenza crescente della grande distribuzione con scarpe a 10 euro che durano una stagione e finiscono rimpiazzate in men che non si dica, Leonardo non potrebbe essere più orgoglioso del suo negozio. “Ero convinto che avrei passato il primo anno o due senza guadagnare davvero e a reinvestire ogni centesimo per ripagare il prestito e le spese dell’attività… e invece sto riuscendo a fare più delle aspettative iniziali e questo mi dà una gioia immensa”.

E’ un ragazzo di appena 26 anni con una testa che lui definisce “piena di scarabocchi” ma che ha in realtà le idee molto chiare, come per esempio in materia di conservazione dell’ambiente, di cui dice: “La nostra generazione ha una certa consapevolezza dell’impatto ambientale che hanno l’utilizzo di certi materiali o di certe procedure e anche io nel mio piccolo cerco di essere il più ecosostenibile possibile. Il problema è che adesso la gente compra senza criterio e questo succede perché chi dovrebbe far cultura e informazione in questo caso nel mondo delle scarpe, punta solo a vendere. Le ‘scarpe vegane’ che si vedono in giro sponsorizzate dai grandi marchi sono in similpelle che è essenzialmente plastica e quelle scarpe di petrolio ci metteranno una vita ad essere smaltite. Le scarpe che faccio io in cuoio, pelle e sughero, che sicuramente sono fatte con pelle animale ma che cerco di ricavare facendo una ricerca con determinati parametri, cercando magari allevamenti che abbiano valori aziendali buoni, alla fine sono fatte con cose naturali che verranno smaltite senza problemi”.


Continua a parlare delle pelli, dell’importanza della qualità, nel frattempo entrano clienti ed escono col sorriso, qualcuno saluta dalla strada, qualcuno si affaccia per discutere del campionato appena cominciato, e Leonardo sorride a tutti: “E’ bella la dimensione di bottega di paese da cui la gente passa e si ferma a far due chiacchiere tutti i giorni. Mi dà soddisfazione tutta la dimensione che mi sono creato e il fatto di essere il padrone di me stesso mi ha cambiato la vita. Volevo fare un lavoro che mi facesse alzare la mattina col sorriso e con la voglia di lavorare”. Il suo negozio è un piccolo gioiello in cui si vede che ha messo l’anima e il cuore, c’è del calore, c’è una poltrona in pelle su cui passeresti ore a guardarlo lavorare, come in un salotto, ci sono attrezzi vecchi e nuovi, anche il bancone ha una storia. “Quando aprii la bottega dissi ai ragazzi di una falegnameria qui vicino che ero fissato col riciclo e avrei voluto farmi fare il bancone da loro. La sera stessa mi contattarono per dirmi che la Scuola del Cuoio li aveva chiamati per smaltire dei pannelli di legno che erano stati nella Chiesa di Santa Croce 400 anni fa, poi tolti e utilizzati alla scuola, infatti hanno ancora delle macchie di lavorazione del cuoio. In pochi giorni avevo il mio bancone fatto con questi pannelli di legno secolari”.

E i suoi sogni non si fermano quando, con gli occhi pieni di voglia di fare e di fiducia, parla dei suoi progetti futuri. “Vorrei un giorno riuscire a creare una scuola per dare una scelta a chi non sa di averla. Io ho avuto la fortuna di esserci nato in questo ambiente, altrimenti è difficile che un ragazzo si avvicini a questo settore e al mondo dell’artigianato in generale. Manca l’informazione, gli artigiani in tv non ci sono e sembra un lavoro complicatissimo, ma in realtà è un mestiere che in quanto tale con la passione e la volontà si impara e può diventare una strada anche per i ragazzi più sbandati. Credo che ognuno di noi dovrebbe vivere con lo scopo di fare qualcosa di bello per la società, di avere un obiettivo che dia un po’ di valore al mondo in cui viviamo. Riuscire a dare a questi ragazzi un’alternativa, un motivo per alzarsi la mattina è quello che mi renderebbe felice davvero, che mi farebbe sentire realizzato”.

 

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