Immaginate una fabbrica chiusa ormai da anni. Immaginate quasi 100 mila metri quadrati di stanze vuote, illuminate da finestroni da cui filtra leggera la luce del sole. Provate a immaginare il silenzio, profondo, grande e immenso come soltanto il silenzio può essere.
E adesso immaginate un uomo che ogni mattina si sveglia e va a lavorare in questo enorme posto vuoto e silenzioso. Un uomo che per anni ha vegliato su queste stanze grandissime e sulla ricchezza che esse rappresentano. Un uomo che ha avuto il compito di custodire quella gigantesca fabbrica vuota. Ogni giorno in mezzo al più profondo silenzio. Da solo.
Alessandro Fibbi è stato il guardiano della Manifattura Tabacchi per dieci anni. «Era una cosa bella il silenzio – ricorda – specialmente arrivando dal traffico della città». Ma il silenzio porta con sé la solitudine. Tanta solitudine, che metterebbe a dura prova chiunque.
È come un cavaliere Alessandro, il cui compito è quello di custodire un antico castello lasciato abbandonato, un luogo da proteggere in attesa che qualcuno torni ad abitarci. E come nelle fiabe, il cavaliere deve superare ostacoli: nella storia di Alessandro l’ostacolo è una solitudine, quotidiana, che genera sconforto, che porta via il coraggio, la voglia di proseguire. Talvolta ansia, paura. E poi, proteggere la fabbrica non è facile. Ci sono persone che entrano per provare a rubare il rame. C’è chi tenta di occupare le stanze, chi ci trascorre la notte.
Ma lui resiste, non cede, continua il suo lavoro ogni giorno: non smette di vegliare su quelle mura silenziose, nonostante a volte in quella fabbrica non riesca a scorgere un castello, ma solo un enorme edificio pieno di stanze vuote.
E come nelle fiabe, Alessandro ha strumenti magici che gli danno forza: un pianoforte e una macchina fotografica. Sono le sue passioni, la musica e la fotografia, «le mie piantine da annaffiare», le chiama. La prima lo è da tanto tempo. Ha studiato musica per tanti anni ed è tecnico del suono. «La musica ha un potere incredibile».
Così un giorno Alessandro decide di portare con sé il pianoforte, perché gli tenga compagnia. E riempie quella solitudine di accordi e note, ma anche suoni, i suoni della Manifattura, che di tanto in tanto rompono il silenzio. Li raccoglie con un microfono, e così facendo li rende eterni. Gli verrà anche chiesto di comporre delle colonne sonore, in cui inserirà proprio questi suoni. È bravo, come è bravo a scattare fotografie. La seconda passione, quella per le foto, la scopre più recentemente. Cattura l’immagine della fabbrica in 1.200 scatti in cui ritrae quelle stanze vuote. E rende eterne anche quelle.
Così tutte le mattine Alessandro arriva alla manifattura e si tuffa in quel silenzio. Solo che adesso ha il suo pianoforte e la sua macchina fotografica ad attenderlo.
Adesso la fabbrica ha una nuova vita. Alessandro è riuscito nel suo compito: per dieci anni l’ha tenuta in vita. E adesso qualcuno è tornato ad abitare in quel castello, che lui ha custodito con amore, dedizione, ma anche con tanta sofferenza. Ma non si è limitato a fare questo: ha saputo coltivare quelle “piantine”, la musica e la fotografia, cresciute e fiorite in mezzo alla difficoltà. L’arte gli ha tenuto compagnia, gli ha dato la spinta a perseverare, a non mollare. Ma non solo. Nella difficoltà ha costruito qualcosa di buono e di concreto, ha fatto del tempo e della solitudine una risorsa e ne ha tratto musica e fotografie, che ha condiviso per essere utili ad altri.
«L’unità di misura del valore è quello che senti dentro quando fai qualcosa che ti fa star bene». È il messaggio che Alessandro ci lascia, che insegna a tutti noi. E la sua storia insegna anche a non mollare, a credere in sé stessi, sempre, a cercare di trovare quel qualcosa che ti spinge ad andare avanti, che ti dà la forza di superare gli ostacoli. Perché qualcosa di buono si può sempre creare, anche in mezzo alla difficoltà. E lui ne è la prova.