Un grido: «Questa è Firenze». E corre un brivido lungo la schiena. Quando lo speaker carica la squadra, l’emozione dilaga. Andate allo stadio, ve ne accorgerete. «Franchi, fuori la voce» grida lui. Succede sempre, 5 minuti prima del calcio d’inizio. Parte la musica, Eye of the tiger. Poi parte lui, lo speaker. Libera la voce, butta dentro l’orgoglio fiorentino. Ci mette l’anima: «Questa è Firenze». Poi le formazioni. Il nome di battesimo di ogni giocatore. Il cognome urlato dai tifosi. Piovono brividi. È così anche per lui, seduto lassù, in quel gabbiotto di due metri per tre incastonato nella tribuna.
Alessandro Capasso, lo speaker, la voce della Fiorentina. Quello che, quando segna la Viola, urla il nome del marcatore. Quello che, quando entrano in campo i giocatori, legge la formazione a squarciagola. Quello che, quando il tifo tace e l’emozione sale, accende il microfono dello stadio e parla al popolo viola. «A volte, mentre urlo, mi scendono le lacrime». Non è facile, no: «Ho paura di sbagliare». Non si limita a leggere le formazioni, non si limita a elencare le sostituzioni, non si limita a diramare il tempo di recupero alla fine di ogni partita. Fa qualcosa in più, davvero molto di più. Carica la squadra, carica i tifosi. Carica 35mila persone. «Mi preparo un piccolo discorso prima di ogni gara». Tre frasi motivazionali, potenti, per dare la spinta. «Penso a quel discorso per tutta la settimana, ma l’ispirazione arriva sempre all’ultimo momento, poche ore prima del fischio d’inizio, a volte dentro lo stadio, quando percepisco il sentimento dei tifosi, l’odore del campo».
Alessandro ha la barba curata e un sorriso fragoroso, un grande anello alla mano destra e le scarpe di cuoio senza lacci, i calzini corti e il risvoltino ai pantaloni. È nato a Firenze da genitori napoletani. Ha due figli e da poco si è risposato. «I tavoli del matrimonio portavano i numeri e i nomi dei giocatori della Fiorentina». Il primo tavolo era Toldo, il tavolo numero 9 Batistuta, il 10 Antognoni.
È stato per anni presentatore all’Otel, animava le serate del locale. È da sempre nel mondo dello spettacolo. Ha una voce profonda, un timbro carezzevole. Dalla sua voce, nascono audiolibri. «Ho letto ‘I miserabili’ di Hugo, è un’opera straordinaria». Dalla Fiorentina ai grandi classici. E viceversa.
Quella volta che Sandro Mencucci gli propose di diventare lo speaker ufficiale della Viola, quasi non ci credeva. Da allora sono passati otto anni. Partite su partite. Battiti, reti, emozioni, gioie, dolori.
L’emozione più bella? «Fiorentina-Juventus 4-2, venne giù lo stadio, nel mio gabbiotto caddero tutti gli oggetti, c’erano persone sdraiate per terra, fu difficile restare lucidi». Il momento più brutto? «La prima partita dopo la morte di Capitan Astori, tutto lo stadio ammutolito, gli applausi, le lacrime, fu tremendo». Quasi piange, mentre lo dice. Perché lui è così, viola fino al midollo. Non è uno stile di vita, è una fede. Non è una fede, è qualcosa di più. Non si può spiegare. La passione è una cosa seria. È qualcosa di romantico, di identitario. «Quando parlo a tutto lo stadio, nel mio corpo c’è un sussulto. Voglio che tutti sappiano che dobbiamo tornare nel posto che ci spetta, che dobbiamo essere orgogliosi della nostra città». Non è invasato, no. È tifoso, semplicemente. E i suoi brividi sono quelli di tutti i tifosi. Quelli veri. Quelli che amano la Fiorentina. E amano Firenze. «Una città che è come una banda – dice Alessandro – E tutto questo allo stadio si vede benissimo. Lo stadio rappresenta la città come nessun altro luogo, Firenze è qui e si vede tutta, nella sua massima borghesia fino al lato più popolare. Che fa schiantare».