Per Simonetta e Giuseppe “casa” è “cucina”, e cucina è famiglia, affetto e premura; un luogo di ristoro fisico e intellettuale, in cui si scambiano parole e silenzi, libri e consigli, idee e aneddoti. Non è solo condivisione ma è soprattutto partecipazione, interazione. “Casa nostra è sempre stata aperta a tutti, in particolar modo all’ora dei pasti”, raccontano i due architetti che durante la pandemia hanno aperto Cucina, un piccolo ristorante in Via Giano Della Bella a Firenze. Come un nuovo progetto architettonico, Simonetta e Giuseppe hanno pensato la loro cucina perché fosse confortevole per l’ospite, perché ognuno potesse sentirsi a casa. Attraverso la finestra che separa la sala dai fornelli si scorgono le pentole appese alle pareti azzurrine; in un angolo, una grande padella restituisce alla stanza un ordine imperfetto ma preciso. Nella sala i mobili da cucina ricordano l’infanzia; nell’aria profumi antichi e lontani, e a servire ai tavoli la figlia e il figlio maggiori, i loro amici e amori. Due figlie più piccole completano il sestetto, dormono insieme ai fratelli in quattro piccole stanze con un letto e una scrivania ciascuna, accoppiate in verticale su una parete della camera.
Abituati a passare molto tempo insieme, Simonetta, Giuseppe e i figli hanno trascorso i giorni lenti e vuoti della pandemia nella loro cucina, riempiendoli con un’idea che nasce dall’amore per la cucina e per gli altri: un asporto reinventato, una scatola con gli ingredienti freschi e misurati perché gli amici potessero preparare la ricetta a casa, seguendo le istruzioni di cottura dei cuochi-architetti. Poi, uno spazio vicino alla loro abitazione si libera in piena pandemia, chiude come molte altre attività; Simonetta e Giuseppe chiudono gli occhi, e imboccano una strada nuova. Lavorano tutti i giorni e in un anno, Cucina è pronta. Con loro gli amici e soci Maddalena e Pietro della libreria Todo Modo, dove i due architetti hanno cominciato a vedersi nelle vesti di cuochi. “Non abbiamo studiato gastronomia, il nostro fare in cucina ha qualcosa in comune con la nostra natura di architetti e archeologi: ogni giorno troviamo diversi ingredienti per comporre qualcosa di nuovo, è una continua esplorazione”, raccontano Simonetta e Giuseppe, aggiungendo che a Cucina non hanno il freezer, e a casa è solamente “pieno di ghiaccio”.
Una famiglia impegnata ma anche “impegnativa”, dice sorridendo Simonetta, che ha scelto un ritmo più rapido e faticoso di quello della ricerca, “più adatto” alla sua personalità, curiosa del mondo vicino e di quello lontano, capace di riconoscere la terra e i suoi frutti, “predisposta al cambiamento”, che lei vede come possibilità e non come un deterrente.
Per Giuseppe uno dei ricordi significativi nell’esperienza in cucina è il viaggio di luna di miele con Simonetta in Marocco: “Vivendo con una famiglia locale, abbiamo conosciuto un modo di fare in cucina diverso dal nostro ma che richiamava radici a noi conosciute. Le nostre madri cucinavano in modo simile, con la fiducia totale nel fuoco, quasi religiosa, assemblando gli ingredienti in una sequenza specifica in una pentola che poi si lascia scaldare senza più nessuna interazione”.
“I nostri piatti nascono da memorie, ricordi di profumi, colori e sapori, e da viaggi in posti nuovi”, racconta Simonetta. “Lo scambio con i fornitori di fiducia accresce la nostra conoscenza e il desiderio di continuare a cercare e sperimentare”, conclude, lasciando a Giuseppe il racconto del mercato, quello che la coppia di architetti considera “il tempio della città”. “Il mercato unisce la costruzione della coscienza civile collettiva con la conoscenza del territorio e della produzione agricola”, dice Giuseppe, “l’abbiamo studiato in architettura ed è fondamentale nella nostra vita di oggi”. A Cucina, così come nella loro cucina, gli ingredienti si cercano la mattina presto, anche se ai piatti si è pensato la sera; si ascoltano i consigli dei fornitori e i propri sensi, tutti e cinque, e forse anche un sesto. Perché entrambi hanno scelto la vita al “lavoro”, pur lavorando ogni giorno, “ognuno dovrebbe poter mettere parte di sé nel lavoro che svolge, sentirsi vicino a quello che fa, mettendoci amore e conoscenza. Il lavoro non può prendersi la vita ma la vita può camminare insieme al lavoro”, dice Simonetta, Giuseppe annuisce. Si comprendono.