All’inizio si chiamava soltanto “Al nuovo emporio”. Era il 1923, quasi un secolo fa, quando quelle stanze precedentemente adibite a magazzino cominciavano a riempirsi di scaffali. La storia di “Dreoni giocattoli” parte esattamente da qui, da quel locale in via Cavour che ha sempre mantenuto la medesima destinazione: il sogno dei più piccoli. Oggi il negozio è giunto alla terza generazione e, a distanza di cent’anni dalla prima volta, continua a professare la sua missione. “Mio nonno Danilo – racconta Silvia, che attualmente tiene le redini dell’attività assieme alla sorella Laura – rilevò il precedente negozio nel 1957. Lui era unico: non gli sfuggiva niente e sapeva sempre come predisporre i giochi al meglio, in modo da catturare subito l’occhio del cliente. All’inizio lo spazio non era molto grande, ma nel tempo il negozio si è espanso fino a diventare una galleria di mille metri quadri. Questa attività è sempre stata un affare di famiglia. Dopo nonno sono arrivati babbo e zio, cioè Luciano e Sergio, quindi io e mia sorella Laura (dal 2006). Dai nostri predecessori abbiamo assorbito l’etica del lavoro: arrivare sempre per primi, andare via per ultimi”.
Ora che la carta d’identità sta per proporre un compleanno epico, la memoria del passato si fonde ai giorni presenti. Dreoni, a Firenze, è sempre stato un unicum. “Fu nonno – ricorda Silvia – ad avere l’idea di personalizzare ogni gioco. Dal 1957 li bolliniamo tutti con la nostra etichetta, per lasciare una traccia indelebile. Non sapete quanti vecchi giochi Dreoni troviamo ancora oggi nei mercati dell’antiquariato. A volte invece la gente si affaccia e ci racconta che ne ha rinvenuto uno in cantina o in soffitta. Alcuni giochi più grandi, come il calcio balilla, li verniciavamo proprio con il nostro nome. Ogni volta che li riscopriamo è un colpo al cuore perché tutto questo ha a che fare con la fantasia, l’intuito, la speranza di chi scarta un pacchetto. è una favola che ricomincia”. Da Dreoni ogni particolare è stato pensato per alimentare accuratamente i sogni della gente, specialmente dei fiorentini. Anche se non sono più piccoli. “Non sapete quanti adulti oggi comprano per i loro bambini, rivelandoci che qui passavano le giornate tanto tempo fa. Forse è per via dell’assortimento pressoché infinito, forse per l’allure del negozio: i soffitti richiamano il cielo, gli scaffali sono tutti in legno e Pinocchio, che ci rappresenta da sempre, campeggia ovunque. Chi entra qui dentro vive un’esperienza di pace e serenità, anche se è diventato grande: il profumo delle scatole risveglia i ricordi d’infanzia”.
Un fascino palpabile, dovuto anche a una scelta nitida: al bando i giochi elettronici. “Non possiamo vendere qualcosa in cui non crediamo. Siamo orgogliosi di aver deciso, ormai trent’anni fa, che qui si trovano soltanto giochi che favoriscono la socialità, l’intuito, la fantasia. Tutti fattori indispensabili durante la crescita e lo sviluppo”. Un “no, grazie” va anche alla grande distribuzione: Dreoni è un’impresa familiare per genetica. In un secolo di storia, ne sono successe troppe. Frugando tra le tasche della memoria, tuttavia, Silvia estrae un paio di aneddoti particolari. “Nonno ci raccontava spesso dell’alluvione del ’66. Io ero appena nata. Essendo novembre il negozio era strapieno di giochi in vista del natale: fu un disastro, ma la solidarietà che arrivò da ogni angolo d’Italia lo commosse. I negozi come il nostro fecero a gara per inviarci la loro merce”.
Quarant’anni dopo trilla il telefono. Dall’altro lato della cornetta c’è il concierge di un lussuoso albergo del centro. Chiede di chiudere il negozio per l’arrivo imminente di una non meglio specificata personalità. “Dicemmo di no – ricorda Silvia – perché le nostre porte devono restare sempre aperte a tutti. Quello che potevamo fare, tuttavia, era aprire in pausa pranzo in via eccezionale per questo misterioso ospite. Quando varcò la soglia restammo storditi: era Michael Jackson, insieme ai suoi bambini. Lui, un grande collezionista, comprò un trenino della Disney, mentre i piccoli fecero incetta di giochi”. Se potesse riavvitare il tempo, Silvia giura che rifarebbe tutto allo stesso modo proprio qui, a Firenze. “Siamo cresciuti a pane e negozio e anche i nostri studi sono stati funzionali a questa attività. Non mi sarei mai vista altrove. Questa è la nostra isola felice: i fiorentini ci hanno sempre coccolato e i turisti ci amano. Continuiamo a fabbricare sogni: è la cosa che ci viene meglio da cent’anni”.