Quando Tatiana inizia a raccontare del suo “viaggio intergalattico”, come lo definisce, ha gli occhi grandi, sorridenti e lucidi: “Tutto è iniziato 4 anni fa, a marzo del 2018. Avevo 37 anni appena compiuti e vivevo con il mio compagno nella campagna di Bivigliano. Innamorati e spensierati volevamo una famiglia e stavamo parlando di quello. Ma una mattina mi sono svegliata, ero rimasta sola nel letto, e come molte altre volte, quasi inconsapevolmente, mi sono toccata il seno come mi avevano insegnato. Mi si ghiacciò subito il sangue. C’era un nocciolino, molto duro e immobile. E io sapevo di non averlo mai sentito prima”.
Tatiana fa un grosso respiro, come se fosse tornata a quella mattina lì: “Cosa dovevo fare? Chiamai la ginecologa che mi diede appuntamento un mese dopo. Non potevo dire che era urgente, e non potevo allarmare la famiglia, sarebbe diventato troppo reale. Ancora non volevo che lo fosse. Aspettai quattro settimane senza dire niente a nessun se non ad Alessio, il mio compagno. A sua mamma sono stati tolti entrambi i seni”.
La ginecologa le suggerisce una dottoressa più specializzata della Misericordia di Sesto. Tatiana chiama e le dicono che non c’è posto prima di altri due mesi. Come si può aspettare così tanto per sapere? Decide di ricorrere come non mai alla sua forza, al buddhismo: “Mi misi a meditare e recitare, dopo due ore riprovai a chiamare. Si era liberato un posto la settimana dopo. Da quella visita mi mandarono subito in senologia a Careggi dove tutto diventò realtà”.
Tatiana piange: “Parlarne mi fa riaffiorare tutto, sento tutte le emozioni di quei giorni. Passate le tre settimane dopo la biopsia mi chiamarono e mi dissero di andare il giorno stesso. Mi aspettavo quelle parole ma sentirsele dire è tutta un’altra cosa: signora, c’è un piccolo tumore. Bam. Un cazzotto nello stomaco, in piena faccia. Scoppiai a piangere in quella stanza. Il mio compagno rimase in silenzio. Mi rincuorò soltanto sentire i dottori dire: non si preoccupi, si risolve. Mi aggrappai a queste parole come ad una boa nell’oceano”.
Ciò che più la scosse fu il pensiero del suo corpo: “Ero lucida e sotto shock al tempo stesso. Pensavo che se mi stava capitando significava che in quel momento dovevo essere lì, e non a fare un figlio. Che quella era la mia battaglia. Il pensiero del mio corpo da malata, mutilata, senza seno e senza capelli per la chemio, fu la prima cosa che mi passò per la testa. Non lo accettavo. Sentivo le loro parole: 18 mm su una seconda, sì io toglierei tutto. Mi sarei fatta fare tutto pur di stare bene ma mi sentivo colpita nel pieno della mia femminilità e identità di donna”. Da quel momento lasciò tutto nelle loro mani, loro si occuparono di ogni dettaglio, anche di prelevarle gli ovociti nel caso in cui avesse voluto avere figli dopo la malattia. “Mi sentivo presa in braccio. Dovevo fidarmi, questa è la chiave di un percorso del genere. E combattere. Nel momento in cui ti capita tiri fuori delle risorse che non avresti mai pensato di avere, come la filosofia del clown, io faccio teatro da tutta la vita. Lui fa ridere nel momento in cui è nella totale merda, quando gli tirano i pomodori e lo scherniscono. Quando sei lì combatti, altrimenti ti senti la persona più malata dell’universo. Entri a far parte di un mondo pieno di lamenti, dolori, anni passati lì, sfortuna. Se non ti metti in testa che tu sei una cosa diversa, che il percorso è solo tuo e solo tu decidi come va, soccombi a tutto questo. Ogni volta dovevo disintossicarmi dell’ambiente. Ma non bastava, avevo bisogno di qualcosa di più per non deprimermi”.
Così Tatiana si documenta da sola e trova Villa delle Rose, un centro di riabilitazione oncologica dell’Ispro, appena fuori Careggi: “Nessuno me ne aveva parlato, e non capirò mai il perché. Villa delle Rose ha cambiato tutto. Un centro completamente gratuito per i malati oncologici che offre moltissimi percorsi di gruppo: mindfulness, respirazione, musicoterapia, arte terapia, danza egiziana, scrittura creativa, piscina, teatro, palestra, yoga, e molto altro. Terapia psicologica individuale. Io non ho mai smesso di andarci, ancora oggi”.
L’operazione va bene, la chemio stronca il resto, e Tatiana, dopo più di un anno, clinicamente è di nuovo una persona sana. Ma un tumore non se ne va mai del tutto: “Ogni volta che ho un controllo smetto di respirare per un giorno intero, me la porto sempre dietro questa sensazione. Non sparisce anche se non c’è la malattia. Il trauma è stato troppo grosso. Del mio nuovo seno non sono per niente contenta, mi sono sentita trattata come un pezzo di carne. Ogni volta che mi guardo allo specchio, che mi lavo, che mi provo un vestito, la cicatrice è lì che mi guarda. La mia femminilità è stata compromessa in maniera drastica. Sono stata fortunata in confronto a molte altre, ma uscirne è difficilissimo”.
Eppure, un bagliore che sa di vita e felicità è chiaro sul viso di Tatiana: “Bisogna ricordarsi che sei comunque parte di un tutto. E questo è solo un lato della tua vita. In fin dei conti, ogni cosa che ti capita può essere un’opportunità per intraprendere percorsi meravigliosi e inaspettati. Alla fine della chemio mi dissero che dovevo aspettare due anni e mezzo per provare ad avere figli per il rischio di malformazioni. Ma io avevo 39 anni, ero già in un’età ad alto rischio e la vita non mi sembrava più lunga come prima. Ogni cosa può andare bene o male a chiunque, sempre, in qualsiasi momento. Guardai il mio compagno e chiesi se voleva ancora un figlio, mi rispose subito di sì. E allora mi dissi che se doveva arrivare arrivava, che gli ovociti li volevo dare alla ricerca”. Ugo oggi ha 7 mesi e fa versetti dietro a Tatiana mentre lei parla. La gravidanza arrivò subito, una pancia perfetta, da venticinquenne, per la gioia immensa della mamma, e del babbo, che era stato accanto a lei ad aspettarla in ogni momento.