“Ci sono due pensieri che ho sempre coltivato. Un paio di idee fisse che abitano da un pezzo in pieghe per nulla recondite della mia mente. Volevo laurearmi. Volevo anche aiutare il prossimo. Per le ragioni più distinte non ci ero ancora riuscito, fino ad oggi. Poi vai in pensione e d’un tratto il quadro si fa più nitido: capisci che ti hanno appena offerto un altro giro di giostra e te non puoi limitarti a fare spallucce. Devi godertelo tutto. Devi usare questo tempo prezioso per prenderti le tue personalissime rivincite sul destino.
Mi chiamo Daniele Giovenali, ho 63 anni e oggi, a questa età, posso dire di avere quasi portato a compimento il mio percorso di studi in Giurisprudenza. Mi sono laureato nella triennale in Scienze Giuridiche e adesso, da pensionato, mi accingo a prendere anche la specialistica. Perché? Semplice: come ho detto, l’ho sempre voluto e, anche se è arrivato tardi, questo traguardo adesso è diventato reale. L’ho fatto succedere sfidando cliché e preconcetti, per dimostrare che la carta d’identità, seppur sgualcita, non può essere una barriera.
Ma cominciamo da capo. Se riavvolgo il nastro, vedo ancora mamma che mi rifila la solita storiella: ‘Sei nato il 9 gennaio 1959, lo stesso giorno in cui babbo iniziava a lavorare in fabbrica. Ha fatto tardi per te il primo giorno, ma ci pensi? Comunque è stato un gran bel motivo per tardare’. Mamma faceva l’operaia, come papà. Grandi lavoratori, persone oneste, fiorentini d’adozione. Lui usava quasi tutto il suo tempo libero per dare una mano in Humanitas, dove era volontario (insignito con medaglia d’oro). Ricordo anche che donava spesso il sangue. Queste cose le ha fatte finché le forze non l’hanno abbandonato. Credo che il primo dei miei pensieri scaturisca proprio dall’esempio che avevo in casa.
Ho sempre lavorato. Sempre. Da quando avevo 14 anni, durante le vacanze estive in Inghilterra. Non c’era modo di studiare, ma posso ritenermi fortunato, perché non mi sono mai fermato un istante. La vita a volte fa giri strani e l’unica cosa che ti resta è provare ad assecondarla. Dopo la scuola alberghiera inizio un’avventura come assistente di volo in Alitalia. Altri tempi, altro prestigio, altri stipendi. E poi, volevo girare il mondo. Basta poco però per farmi tornare con i piedi per terra, letteralmente. Scopro rapidamente che le rotte sono sempre identiche, i posti diventano triti, la monotonia avviluppa il mio afflato romantico, fino a sgretolarlo. Allora faccio una cosa: cambio tutto. La faccia trasecolata dei colleghi ce l’ho ancora stampata in fondo agli occhi: ‘Ma che fai? Lasci un posto come questo? Te sei matto!’. Invece mollo, convinto che non fosse quello il destino a cui dovevo dare del ‘tu’.
Eccomi a fare dei corsi di formazione all’estero, in Germania. La mia carriera nel settore alberghiero è appena iniziata: in fondo è quello che ho studiato, mi sta bene. Mi prendono allo Starhotels, nel mio giardino di casa, Firenze. Provate a immaginare la gavetta: ecco, me la faccio tutta. Scalo posizioni ad un ritmo irrefrenabile. Segretario d’albergo. Sales Manager. Vicedirettore. Direttore Hotel, Direttore Commerciale. Nel 2001, insieme ad altri colleghi, partecipo al lancio della catena UNA Hotels. Tutto questo lavoro mi preme costantemente verso la contrattualistica: è appena uscita una legge sulla responsabilità d’impresa e io devo sapere tutto. In questo periodo mi convinco che, se mai riuscirò a laurearmi, l’alloro sulla mia testa fronteggerà Giurisprudenza. E’ deciso, mi lancio. Sto ancora lavorando, ma voglio ferocemente iscrivermi. Studio la sera, nei weekend e durante le feste comandate. Mia moglie Daniela deve avere in corso una causa per la beatificazione: mi sopporta e mi supporta, senza ‘se’. Se socchiudo gli occhi per una manciata di istanti, riesco a ricostruire il primo tragicomico impatto con i miei ‘colleghi’ di corso. Al mio arrivo mi sento a tutti gli effetti un corpo estraneo, ma c’ero preparato. Pensate che le prime volte mi succede più volte che gli studenti, entrando in classe, si rivolgano a me con deferenza, salutandomi con un deciso ‘buongiorno, professore’. La cosa mi fa sorridere, ma mi preoccupa anche. Cosa posso fare per accorciare le distanze? Il gap generazionale è davvero incolmabile? Serve del tempo, ma capisco che si può fare: quando i ragazzi comprendono che dentro di me abitano le loro stesse ansie, che condividiamo i medesimi obiettivi e che l’età è solo un numero irrilevante, le espressioni smettono di essere stralunate. Il classico ‘ma che ci fa questo qui?’ diventa un auspicato ‘ciao Daniele, siedi accanto a noi?’. Posso tirare un sospiro di sollievo. Il sangue erompe nelle vene. La testa è finalmente sgombra. Mi sento accettato. Mi laureo nel 2018, con lode: una tesi sul Management alberghiero, il mio salotto.
Nel frattempo continuo a spostarmi in tutta Italia, per lavoro. Grandi progetti, enormi soddisfazioni professionali. L’ultima sfida però mi prende in contropiede. Il Gruppo di cui faccio parte finisce in liquidazione. Mi trovo di fronte ad una biforcazione inattesa, perché ho i contributi per la pensione, ma mi manca l’età. Di sicuro mentre aspetto non posso starmene immobile. Mi viene in mente che la Professoressa Lucarelli, titolare della cattedra di “Mediazione dei conflitti”, una volta mi ha accennato a questa cosa delle cliniche legali. Lei offre assistenza nell’ambito del progetto ‘I care’*, ideato da Cesvot e CR Firenze. L’obiettivo è colmare le carenze educative scolastiche nate con la pandemia. In sostanza c’è da affiancare gli alunni della scuola di secondo grado Calamandrei. Mi è sempre mancato il tempo per fare volontariato? Ora ne ho abbastanza. Un blocco di festosi dodicenni mi accoglie con un calore impensabile. Come gli studenti universitari, malgrado gli anni di differenza, dopo un primo approccio diffidente capiscono che possono tranquillamente considerarmi uno di loro. Anche gli altri volontari sono fantastici: quasi tutti ragazzi sulla venticinquina. Si registra un solo grande momento di crisi quando scopriamo che tutti vogliono scansare l’insegnamento della matematica! Nel frattempo i miei studi non si fermano un istante. Decido di iscrivermi anche alla specialistica: oggi mi manca un solo esame per laurearmi in Giurisprudenza, da pensionato. Che posso dire? Sono un umarell atipico, ai cantieri preferisco la frequentazione dell’università.
Quando parlo con i miei figli provo a trasmettergli proprio questo. Lorenzo e Niccolò fanno entrambi gli ingegneri, a Milano. A volte percepisco i loro timori, a seconda di come modulano la voce: ’Sto facendo la cosa giusta, babbo?’. A loro e a tutti i ragazzi che seguo vorrei lasciare inciso questo messaggio: di non avere paura. Di non arrendersi. Di non vergognarsi mai di fare quello che si ama. Che anche quando sembra tutto tetro e senza uscita, c’è sempre il modo di ricominciare. Prendete me: aiutare le nuove generazioni mi fa sentire nuovamente vivo. La pensione mi ha aperto una maniglia su una vita che non c’era mai stata. La fine di un percorso è stata l’inizio di una rivalsa personale. Mi sto ancora facendo un giro. Non ho nessuna intenzione di scendere.