«I miei genitori mi dicevano di guardare l’aeroplano lassù, io alzavo la faccia verso il cielo, ma quasi sempre nella direzione sbagliata. Perché i miei occhi, quell’aeroplano, non riuscivano a vederlo. Avevo due anni e mezzo quando i primi sospetti si sono trasformati in certezza: ero ipovedente. Nel tempo, la mia capacità visiva si è ulteriormente ridotta. Oggi vedo solo le luci, le ombre e i colori. Non distinguo i volti, ma gli sguardi sì, quelli li percepisco benissimo».
Alberto Tomberli, 22 anni, non ha paura del buio. È uno studente e un grande sportivo. Dopo una laurea triennale in mediazione linguistica, sta studiando relazioni internazionali. Nuota alla Costoli, corre alle Cascine e va in tandem sulle colline per prepararsi alle gare di para Triathlon.
«Sono un non vedente, cammino con il bastone, ma per me la vita è un grande dono e non voglio sprecarla passando il tempo a lamentarmi. L’udito e l’olfatto sono diventati i miei sensi guida. Ascolto tutto, anche i rumori più impercettibili per me sono informazioni importanti. Per esempio, sulla tramvia ho imparato a riconoscere il diverso rumore che fa sulle rotaie quando passa sul ponte: mi serve per orientarmi. Ho affinato anche l’istinto perché per me è fondamentale poter avere fiducia negli altri. La cecità mi ha insegnato anche a essere socievole, e soprattutto a chiedere quando ho bisogno. All’inizio questo mi scocciava molto, temevo di essere compatito, poi però ho capito che non c’era assolutamente niente di sbagliato nel farsi aiutare. L’importante è non essere passivi e io non lo sono affatto: mi aggiorno, leggo, studio, tengo la testa aperta. E assaporo quei magici momenti di libertà assoluta che mi regala lo sport. Come quando ho fatto windsurf da solo, in un ampio tratto di mare tutto per me».