«I miei genitori si sono separati quando ero piccola, creavo mondi fantastici e colorati dove mi rifugiavo per difendermi da quel dispiacere; leggevo tanto, a 10 anni avevo già letto tutta l’enciclopedia dei Quindici; passavo molto tempo nella biblioteca del paesino dove sono nata e leggevo ogni cosa che attirasse la mia curiosità, un po’ come Matilde di Rohald Dahl. Il volume dei Quindici che preferivo era “Come si fanno le cose”, penso di aver fatto di tutto con quel libro: dagli origami alla creta ai modellini; amavo creare con le mie mani, pensare che quell’oggetto l’avevo fatto io ed era unico. Quando andavo a casa di mia nonna anche lì c’era l’enciclopedia dei Quindici ed era una sicurezza poterla ritrovare, c’era anche una cassetta del cucito piena di bottoni ed io attaccavo bottoni con lei su pezzi di stoffa e mi immaginavo di fare vestiti e accessori».
«Per anni mi sono occupata di moda ed è stato un sogno bellissimo che peró poi ha ceduto il passo a tanta insoddisfazione: avevo un lavoro come visual merchandiser che mi portava in giro per tutta Italia, giravo continuamente, la gente mi invidiava; ma quello non era viaggiare: non andavo a Roma o Milano, vedevo le stazioni e dopo dodici ore in giro ad allestire negozi mi buttavo sul letto e mangiavo in camera in hotel, sola, sempre sola».
«Un giorno ero stanchissima, era una giornata con la solita sveglia all’alba e la valigia pesante in mano, stavo partendo da Firenze per una delle mie mete lavorative, in sottofondo la solita voce metallica “Il treno per Napoli è in partenza al binario 10”: la voce della stazione mi ha accompagnato per un po’ di anni, la colonna sonora di ogni spostamento sofferto, sono giunta ad odiarla e ancora oggi, dopo cinque anni, mi fa stare male sentirla e mi fa venire l’ansia andare in stazione; quel giorno mi osservai dall’esterno: mi vidi stanca mentre aspettavo al binario con una faccia infelice e, forse, fu allora che mi ricordai di quella bambina che creava con le sue mani, un flash davanti agli occhi. Non ce la facevo più, mi dissi “basta torno a casa”, con la consapevolezza che il cambiamento era iniziato in quel momento. Decisi allora di mollare quel lavoro, di tornare alle origini, a mia nonna, alle mie mani che creavano. Volevo tornare a fare qualcosa che fosse unico, che portasse il mio nome. Scoprii la modisteria e decisi che avrei fatto cappelli, un accessorio che ho sempre amato. Feci un apprendistato da un mastro cappellaio che mi ha trasmesso tutto il suo amore per questa arte. Da quando ho iniziato questa nuova vita ho ritrovato la lentezza del tempo e il senso di ogni istante e quando viaggio, adesso, i posti li vedo per davvero».