«Io, casellante alla Certosa per 40 anni»

Per decenni ha visto passare migliaia di automobilisti, tra cui molti vip. Ricorda con affetto Gianna Nannini, frequentatrice assidua di quella strada. «Dal casello ci passa il mondo, una varietà umana che cambia incessantemente, che non ti annoia mai»

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Gianna Nannini era una frequentatrice assidua. Dal casello autostradale che un tempo si chiamava Certosa (oggi Impruneta) ci passava spesso. L’inconfondibile voce della cantante senese usciva dal finestrino dell’auto per salutare, lanciare una battuta, strappare un sorriso. «Aveva sempre voglia di scherzare, buffa ed energica» ricorda Marcello Ghini, 72 anni. Lui, nato in San Frediano, dentro (e non per modo di dire) alla Scuola Mazzini, dove i suoi nonni facevano i custodi, ha visto il mondo passare da quel gabbiotto. Professione casellante. Per 40 anni, la maggior parte dei quali passati proprio all’uscita dell’A1 che porta verso Siena.

«Posso dire di aver svolto un lavoro da museo. Tra un po’ mi portano alla Specola» scherza riflettendo su quanto la sua professione sia cambiata, praticamente scomparsa. «Quando sono andato in pensione, nel 2008, ero contento perché pensavo che avrei lasciato il mio posto a un giovane. Ma invece l’automazione ha avuto la meglio». Poi gli occhi iniziano a farsi lucidi. Si capisce che c’è un’ombra, un peso sul cuore. «Se parliamo del mio lavoro, non posso farlo prima di aver ringraziato una persona: mia moglie Giovanna. Lei è sempre stata paziente, mi è rimasta vicina, accettava di buon grado il fatto che fossi impegnato anche nei giorni di festa, anche quando gli altri andavano in vacanza. Lei si adattava ai miei orari sempre diversi visto che lavoravo su tre turni. Non tutti lo avrebbero accettato come sapeva fare lei». La moglie di Marcello se ne è andata nell’agosto scorso. Il dolore è ancora profondo. «I ragazzi del casello, i miei ex colleghi, mi sono stati vicini. Ogni tanto vado ancora a trovarli, ci mangiamo una pizza insieme. Per me sono come una famiglia» prosegue Marcello.

Quella del casellante è una professione strana. Difficile da immaginare, soprattutto per chi non frequenta abitualmente le autostrade. A prima vista la si potrebbe definire noiosa, routinaria, povera di rapporti umani. E invece non è così. «Dal casello ci passa il mondo, una varietà umana che cambia incessantemente, che non ti annoia mai. E tu sei lì che la osservi. In quelle frazioni di secondo ti alleni a capire chi hai davanti. Alla fine ti bastano pochissimi elementi: come ti porge i soldi, se ti saluta o meno, se si lamenta perché ha fatto troppa coda o perché deve pagare il pedaggio. Ho visto veramente di tutto. I miei preferiti sono sempre stati i pendolari, perché dopo un po’ mi riconoscevano, si concedevano frammenti di conversazione, magari anche solo una battuta sulla Fiorentina. A Natale, poi, arrivavano i panettoni. E i camionisti ti allungavano un calendario» spiega Marcello, mentre la passione per quella professione che lo ha accompagnato per quattro decenni diventa sempre più nitida.

Dopo un brevissimo periodo al casello di Prato, Marcello si è trasferito alla Certosa. «È sempre stata un’uscita movimentata, un casello importante per il traffico che va e viene dalla città, con tanti pendolari ma anche tanti turisti» ammette. «Negli anni Ottanta è stato al centro della cronaca nera. Era il periodo del mostro di Scandicci e poi delle Brigate Rosse. A pochi metri da noi c’erano i posti di blocco della Polizia. Il consiglio che davo, soprattutto ai ragazzi che mi capitava di vedere, era quello di stare attenti. C’era molta tensione nell’aria, e anche noi la percepivamo benissimo. Ma io mi sono sempre sentito fortunato. Le mie otto ore passavano velocemente, tra la radio, le pause con i colleghi, qualche vip a movimentare la giornata… Oltre alla Nannini, ricordo anche Gianni Morandi, gentilissimo, tranquillo come se fosse stato un mio vicino di casa». Il turno preferito? Quello che partiva alle cinque di mattina e terminava alle 14. «Perché così poi potevo andare ad allenare i ragazzi della Rondinella, la mia squadra del cuore».

In 40 anni, di persone, Marcello ne ha incrociate molte. Talvolta, per strada o nei negozi, anche se “in borghese”, veniva riconosciuto e salutato. Forse perché la figura elegante, il sorriso gentile e i suoi modi pacati non potevano passare inosservati, neppure mezzi nascosti dal gabbiotto. «Ero orgoglioso quando mi accadeva» ammette. Il casello ha lasciato un vuoto. La perdita della moglie ha aperto una voragine. Marcello ha cercato di colmare prima l’uno e poi l’altra circondandosi del caldo abbraccio del suo quartiere. «Sono un sanfredianino. Anche se non ci abito più, qui ci sono i miei amici. Sono tra gli organizzatori della grande cena che da vent’anni si svolge in piazza del Cestello. Tre giorni alla settimana faccio servizio sull’ambulanza della Fratellanza militare di via Sant’Agostino. Due volte a settimana mi occupo di mio nipote, il figlio della sorella di mia moglie, che ha 12 anni». Senza dimenticare, però, il calcio: «Accompagno i ragazzi della Primavera della Fiorentina: li ho visti piccini, e ora che sono grandi continuano a salutarmi e abbracciarmi. Sono piccole cose che mi fanno tanto piacere». E un sorriso gentile torna sul suo viso.

 

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