Inizia a fare buio, il sole è calato da qualche minuto. Intorno allo stadio tutto si muove. C’è il traffico del viale, è la gente che torna a casa dal lavoro, le macchine dei genitori che vanno a riprendere i figli all’allenamento, qualcuno che corre, qualcuno che porta a spasso il cane. Piera ha 82 anni e in mezzo a tutto questo movimento è lì a preparare panini, così, come continua a fare da 25 anni. Sempre nello stesso posto. Sempre nello stesso modo. Dalle 17 alle 3 di notte.
Eccola Piera, la più famosa paninara di Firenze. Adesso ad aiutarla ci sono la figlia Antonella e il nipote Lorenzo. La tradizione che si tramanda immutabile. Ascoltandola parlare, ci si accorge del suo accento. Qualche punta di toscano, con una cadenza del nord. Piera è nata a Bergamo e quando aveva 22 anni si è sposata con Umberto, un fiorentino incontrato nella trattoria di famiglia.
Ha iniziato questo mestiere nel ’94. «Ero svelta, ero brava» ricorda. Prima, insieme al marito Umberto vendeva bomboloni e croccante. Ogni tanto capitavano dalle parti dello stadio. E così è nata l’idea di vendere panini nel quartiere. Da quel momento, sono passati 25 anni. «Ho sfamato tre generazioni». Tutti i giorni nel suo furgone. È il tempio della notte profonda, dove i ragazzi concludono la serata. Un panino dopo la discoteca, prima di andare a letto. Chi chiede un panino alla salsiccia, chi chiede la piadina con la nutella. Parla dei ragazzi come se fossero figli. Ricorda tutti quelli che in questi anni sono passati da lei. Mangiavano il panino, ma non solo. Le hanno raccontato i primi baci, le delusioni d’amore, la famiglia, lo studio. E lei, un po’ confessore un po’ mamma, li ha ascoltati, li ha visti crescere tra un hamburger e l’altro.
Se le si chiede quale sia il ricordo più bello risponde contenta: «Batistuta! Si è fermato una sera e ha offerto un panino a tutti i ragazzi che erano qui. Poi ha preso un pallone e li ha fatti correre tutti insieme. Mangiò un panino con la salsiccia».
Ricorda il suo primo cliente. «Un ragazzino di 13 anni, non aveva i soldi per comprarsi un panino, così glielo regalai». Non fu l’unico: «Ne ha regalati tanti», le fa eco la figlia Antonella. A qualcuno ha anche prestato soldi per fare benzina al motorino. Perché Piera è così, una persona semplice. E genuina.
Non è stato tutto facile in questi anni. I sacrifici sono stati tanti. Il freddo, innanzitutto. E il vento, la pioggia, le notti invernali che Piera ha affrontato lavorando. Ha fatto tutto per amore della famiglia. E per una passione che traspare dalle sue parole, dal tono della sua voce quando parla dei ragazzi che ha visto crescere tra un panino e l’altro. «Le ferie non le ho mai fatte». Sacrifici, ma anche tante soddisfazioni. «C’erano due ragazzini – racconta – che venivano a mangiare da me dopo la scuola, a casa non avevano nessuno che potesse preparargli il pranzo». Un giorno i genitori sono andati a dirle grazie. Grazie, per aver allevato i loro figli.
Non c’è un ricordo triste tra quelli di Piera. Solo un po’ di amarezza per il presente. La parte più triste di questi 25 anni è adesso, confessa. «I ragazzi sono cambiati, i ragazzi di oggi non parlano più, non si fermano a raccontare le loro storie, stanno al cellulare mentre mangiano il panino, neppure mi considerano. Una volta era diverso. I ragazzi mi parlavano della loro vita. Poi si mettevano a giocare con la carta del panino, la trasformavano in una pallina e provavano a fare canestro nella spazzatura, chi perdeva pagava il secondo giro di panini a tutti». Non ha rimpianti per questi 25 anni, soltanto un sogno che ancora non si è realizzato: «Un giorno mi piacerebbe che il sindaco venisse a trovarmi, gli offrirei un panino».